Dal 2020 il mondo è cambiato da molti punti di vista, a causa della pandemia da Covid-19. Sono due anni che le abitudini di una grande parte della popolazione mondiale sono cambiate, mentre il virus continua ad essere presente con diverse varianti. Ma tra vaccini e dati giornalieri sui contagi, c’è una piccola fetta di persone che sembra non prendere il virus anche dopo contatti ripetuti con positivi. Vediamo che succede a queste persone.
Capire il motivo per cui alcune persone non si ammalano, può aiutare la ricerca a sviluppare nuovi farmaci contro la malattia. Un articolo pubblicato su National Geographic chiarisce degli aspetti importanti.
Il COVID Human Genetic Effort, un consorzio internazionale di genetica che studia le variazioni genetiche che potrebbero spiegare perché alcune persone non si ammalano di COVID-19. Del consorzio fa parte il team di Evangelos Andreakos, immunologo presso la Fondazione per la ricerca biomedica dell’Accademia di Atene, che ha ricevuto oltre 5.000 candidature volontarie da tutto il mondo, da parte di persone che non hanno contratto mai il virus nonostante diversi contatti con positivi. Il team analizzerà i campioni di saliva di un 20% dei selezionati per la ricerca.
Il COVID Human Genetic Effort ha iniziato a reclutare volontari già l’anno scorso, partendo dagli operatori sanitari che sono stati esposti al virus ma non si sono ammalati, aggiungendo adulti sani che vivono in nuclei familiari con un partner che si è ammalato e ha sviluppato sintomi moderati o gravi di COVID-19.
Secondo gli scienziati l’ipotesi è che coloro che non hanno sviluppato la malattia, è possibile che presentino una mutazione che fornisce una resistenza al virus. “Stiamo puntando tutto sul recettore ACE2. I migliori candidati per il nostro scopo sarebbero variazioni genetiche che consentano all’ACE2 di funzionare normalmente ma ostacolino la sua interazione con il virus, continua il genetista. È possibile tuttavia che ci siano altri fattori biologici oltre al recettore ACE2 che potrebbero spiegare perché alcune persone non sviluppano l’infezione da SARS-CoV-2“, ha spiegato Jean-Laurent Casanova, genetista della Rockefeller University che fa parte del COVID Human Genetic Effort.
Il sistema immunitario forte aiuta a produrre proteine antivirali chiamate interferoni di tipo I, che limitano la replicazione del virus nelle cellule umane e sono la prima linea di difesa dell’organismo, e intervengono ancora prima che si formino gli anticorpi contro il virus. Altra risposta probabile è che, sempre il alcuni soggetti, le cellule immunitarie chiamate cellule T della memoria (che potrebbero essersi formate a seguito di precedenti incontri con altri coronavirus, come quelli che causano la normale influenza) possano aiutare a limitare l’infezione da SARS-CoV-2. Prima del vaccino, nel 2020, gli studi hanno rilevato una maggiore presenza di cellule T della memoria negli operatori sanitari che erano stati esposti al virus ma non avevano sviluppato il COVID-19.
“Sappiamo che alcuni poi si sono ammalati, contraendo varianti più infettive o forse a seguito di un’esposizione maggiore al virus“, ha spiegato uno degli autori dello studio l’immunologa virale Mala Maini, specificando che in alcuni soggetti quindi il virus è stato combattuto più velocemente, ma non vuol dire che siano protetti da contagi futuri.
Lo studio sulla resistenza genetica darà comunque importanti informazioni che potranno essere usate per sviluppare terapie contro il COVID-19, qualcosa di simile agli inibitori del CCR5 concepiti per trattare le infezioni da HIV. “Ma le decisioni sullo sviluppo di tali terapie dipenderanno dalla natura dei geni mutati che verranno eventualmente trovati”.